Ci potete parlare del vostro percorso professionale prima dell’idea della startup Seedling Designs?
Io e Fabiana siamo entrambi architetti con lunghe esperienze professionali che ci hanno portato in diverse parti del globo fino a farci incontrare a Londra quando abbiamo avuto l’occasione di lavorare insieme sul progetto per il centro commerciale The Strand in Bulgaria.
Le affinità nate dopo questa collaborazione ci avevano fatto capire che entrambi sentivamo il bisogno di usare la nostra professione per progetti dai valori umanitari ed ecologici più forti e l’occasione giusta arrivò durante una mia breve vacanza a Siviglia nel 2010.
In quell’occasione incontrai per caso la giovane rappresentante di una ONG italiana che seguiva un orfanotrofio localizzato in un piccolo villaggio sulle rive del Lago Vittoria e cercava proprio un architetto disposto ad intraprendere un’avventura fuori dai comfort occidentali, per seguire i lavori di costruzione di un dormitorio e una piccola struttura per i visitatori.
Senza esitare al mio rientro avevamo subito messo in piedi una piccola squadra composta da me, Fabiana ed altri 2 amici che condividevano le stesse necessità di riscatto professionale e qualche mese dopo ci lasciavamo alle spalle la frenesia di Londra per avventurarci in questo paese ancora per noi misterioso e legato ai pochi racconti che avevamo raccolto da esperienze di amici o nei documentari.
La lentezza africana ci accolse a braccia aperte e i 6 mesi di lavoro preventivato (calcolati con i bias di un gruppo di architetti abituati ai ritmi Londinesi) si convertirono in fretta in 2 anni di permanenza in questo bellissimo e poverissimo villaggio dove mancavano sia l’acqua corrente sia l’elettricità e nonostante le iniziali difficoltà, in 2 degli anni più intensi e appaganti della nostra vita.
2 anni spesi seguendo i ritmi del sole e le regole della natura selvaggia ti purificano l’anima e ti fanno capire di quanto poco abbiamo davvero bisogno per sentirci appagati, i rumori mattutini della natura erano la nostra sveglia e i tramonti sul lago la nostra televisione.
La natura, seppur desolata, ci avvolgeva e finalmente ne intuivamo pienamente la grandezza e l’importanza per il benessere dell’uomo.
Alla fine del progetto ci trovammo a fare i conti con le incombenze della nostra eredità occidentale che avevamo ignorato per 2 anni e dovendo decidere dove continuare le nostre avventure, io e Fabiana che nel frattempo ci eravamo sposati proprio all’orfanotrofio sentivamo che la nostra strada doveva portarci ad esplorare altre parti del paese e aspettando anche nostro figlio Julian decidemmo di spostarci sulla bellissima costa del Kenya, a Kilifi dove era stata appena aperta la bellissima scuola internazionale Kivukoni School immersa nella natura e gestita seguendo una visione dell’insegnamento basata su forti valori ecologici, artistici e di condivisione comunitaria. Qui aprimmo la nostra compagnia di Architettura e Costruzione Ecosostenibile e cominciammo a fare le prime esperienze professionali in Kenya.
Da quale esigenza o intuizione nasce Seedling Designs?
Prima di lanciarci in questa avventura africana avevamo già capito l’importanza di usare sistemi di design e costruzione più in sintonia con i ritmi e le esigenze dell’ambiente e adesso ci trovavamo improvvisamente in una comunità di persone che per motivi e professionalità diverse si erano ritrovati in questa piccola città condividendo valori simili, una vera e propria fucina di riflessioni e idee sul tema dell’ecologia e della sostenibilità ambientale.
L’intuizione per la nascita del nostro marchio Seedling Designs arriva quasi per caso, avevamo trovato una piccola casa ancora parzialmente in costruzione sulla riva dell’oceano immersa in un piccolo terreno verde dove si stagliavano 10 degli alberi più incredibili che avevamo mai visto e che non a caso sono uno dei simboli del continente Africano, gli alberi di Baobab, di cui ci innamorammo immediatamente per la loro imponenza e resilienza ma anche per le tante storie e tradizioni che ne sono nate attorno.
La casa era piuttosto spoglia e volevamo arredarla usando prodotti e materiali sostenibili ma trovare elementi di arredo che rispondessero alle nostre necessità si rilevò un’impresa non facile e così decidemmo di realizzare noi stessi ciò che non riuscivamo a trovare localmente.
Durante quei giorni avevamo preso l’abitudine di raccogliere i piccoli tesori che la natura ci offriva durante le nostre passeggiate sulla riva del mare e tra quelli avevamo collezionato un paio di frutti caduti dai Baobab che avevamo conservato con curiosità per trovarne un uso in futuro.
Una notte durante i primi giorni nella nuova casa, nostro figlio Julian appena nato non riusciva ad addormentarsi con le lampadine appese senza alcun lampadario che ne diffondesse la luce e la nottata sembrava dover continuare senza riposo. Innervosita da una lampadina piuttosto fastidiosa Fabiana senza pensarci troppo decise di coprirla con uno dei frutti di Baobab rotti; l’atmosfera cambiò improvvisamente, Julian cominciava a calmarsi e la luce diffusa attraverso le crepe del guscio del Baobab si rifletteva sulle pareti con tinte calde e rilassanti.
Il giorno seguente Fabiana era già all’opera e con l’aiuto di un paio di donne della comunità locale aveva raccolto e tagliato i frutti di Baobab necessari per coprire tutte le lampade di casa, Seedling Designs era nata, prima come pura necessità e poi come conseguenza della curiosità di amici e nuovi clienti.
Con Seedling Designs abbiamo consolidato la nostra convinzione che la natura offre quasi tutto ciò di cui abbiamo bisogno e che noi abbiamo dimenticato con il diffondersi dell’uso dei materiali da produzione di derivazione industriale.
Le nostre lampade crescono su alberi antichi e con le loro naturali imperfezioni diventano oggetti unici, frutto dell’evoluzione naturale e della pazienza degli alberi di Baobab che hanno bisogno di 25 anni prima di produrre i primi frutti e che offrono solamente 1 o 2 raccolti all’anno.
Pur con le elaborate ripetizioni di motivi geometrici nei suoi processi di crescita, la natura non si preoccupa di generare o nascondere i suoi difetti, al contrario dei processi di produzione industriale e proprio questa dicotomia tra la perfezione del design industriale e l’unicità dei prodotti naturali ci affascina per le opportunità che offre nello sviluppo dei nostri prodotti.
Seedling Designs è nata con l’intenzione di far riscoprire il nostro legame ancestrale con la natura in un mondo che tende sempre più verso la perfezione artificiale.
Quali sono le maggiori difficoltà incontrate nel creare la vostra startup?
Sicuramente il confrontarsi con processi produttivi molto diversi da quelli ai quali eravamo abituati quando lavoravamo in Europa.
Qui in Africa non si ha accesso facile a componentistiche sofisticate come quelle che si trovano in altri continenti e per molti dei nostri prodotti abbiamo dovuto disegnare anche i più piccoli accessori e trovare il modo di realizzarli il più possibile localmente, cosa ancor più delicata se contiamo che nei nostri prodotti, le ripetizioni di componenti standardizzati devono confrontarsi con le imperfezioni del materiale grezzo appena raccolto, ancor di più in un contesto dove la maggior parte degli artigiani non ha mai avuto modo di essere esposta alle logiche qualitative del prodotto di design occidentale.
Inoltre, ci confrontiamo spesso con l’impazienza moderna che non riesce più a distinguere la rarità e preziosità del prodotto creato dalla lentezza del mondo naturale con gli oggetti di produzione industriale di massa, mentre la nostra produzione dipende strettamente dai ritmi di crescita naturali basati sulle condizioni climatiche e ambientali ormai continuamente cangianti.
Anche il confronto con una cultura diversa da quella tipicamente occidentale è stato un ostacolo importante e soprattutto nell’ambiente prettamente lavorativo è ancora piuttosto difficile far combaciare le logiche di produzione moderne con la lentezza tipica della cultura tribale, soprattutto quella costiera.
Avete avuto degli investitori che hanno creduto nel vostro progetto?
In realtà la nostra compagnia ha avuto una crescita molto bilanciata e finora gli unici aiuti ricevuti sono venuti dalle nostre famiglie, questo ci ha permesso di superare il periodo piuttosto difficile della pandemia, proprio perché non avevamo debiti da ripagare. In più questa crescita lenta ci ha permesso di dedicare il tempo necessario per le sperimentazioni che sono ancora necessarie per l’evoluzione dei nostri prodotti.
Più che di investitori possiamo parlare di amici e clienti che fin dall’inizio hanno creduto nel valore del messaggio che vogliamo diffondere con i nostri prodotti e ci hanno supportato con acquisti e passaparola.
Sicuramente dobbiamo menzionare gli organizzatori del Afrika Handmade expo che pochi mesi dopo aver cominciato a produrre le prime lampade, ci hanno invitati alla nostra prima esposizione ufficiale negli spazi della Alliance Francaise di Nairobi, e ci hanno dato la confidenza necessaria per continuare nel nostro progetto.
Quali sono i vostri canali di vendita e quali mercati volete presidiare con i vostri prodotti?
Per adesso quasi tutte le vendite vengono dal canale B2C attraverso il nostro online shop e gran parte del traffico è portato dal magnifico lavoro di marketing che Fabiana porta avanti sul nostro canale Instagram.
Recentemente ci siamo avventurati nel B2B attraverso collaborazioni con alcune delle migliori compagnie di turismo del East Africa che ci hanno contattato per prenderci cura dell’illuminazione in alcuni dei loro lodge di nicchia.
Una certezza che abbiamo fin dall’inizio è che non possiamo né vogliamo confrontarci con il mercato dei prodotti di massa, né con quello dei prodotti di design industriale di brand di illuminazione famosi.
Riteniamo che i nostri prodotti ricadano nel settore del design artigianale che si è sviluppato in ambienti sofisticati come ad esempio la Galleria Orlandi di Milano con la quale dovremmo iniziare una collaborazione a breve.
Crediamo fortemente nel supporto di persone che comprendono in pieno il messaggio che vogliamo diffondere con la nostra produzione lenta e sostenibile.
Come vedete la vostra startup fra cinque anni?
Tra cinque anni Seedling Designs dovrà essere una realtà ormai solida e guidata da un team di giovani professionisti Keniani (e qualcuno dall’estero) che condividano i nostri valori chiave e capiscano l’importanza di impegnarsi giornalmente per fare in modo che questi valori sostengano costantemente la crescita del brand.
Avremo una scuola per formare ragazzi preparati a lavorare nel settore del design e offriremo esperienze di internship per chi ha fatto un percorso di studi di design.
All’estero il nostro brand si sarà piazzato nella fascia dei prodotti di design artigianale di alta qualità e avremo un paio di outlets dove oltre a trovare i nostri prodotti, si potrà fare un’esperienza Africana a 360 gradi per offrire ai nostri visitatori un po’ delle emozioni che abbiamo provato quando siamo arrivati in Kenya e che potrebbe trasformarsi in una collective di designer africani di qualità.
Io e Fabiana saremo sempre attivi come designer di nuovi prodotti, coinvolgendo ancora più artisti e artigiani, magari da tutto il mondo, che lavorano con tecniche tradizionali e materiali naturali, e questo ci permetterà di viaggiare per il mondo (nostro grande sogno) e conoscere nuove culture e realtà produttive.
Infine, vorremmo estendere la produzione magari con la formula del franchise, nei numerosi paesi africani dove gli alberi di Baobab crescono ma la loro ricchezza non è stata ancora sfruttata in pieno.
Quali opportunità vedete oggi nel continente Africano?
A nostro parere il continente Africano può diventare quello che i paesi orientali sono stati negli ultimi decenni, un continente pieno di materie prime e ancora virtualmente intoccato, tranne per alcune eccezioni, dalla frenesia del mondo occidentale, e però allo stesso tempo all’avanguardia in alcuni settori come, ad esempio, quello dei servizi IT, specialmente i pagamenti virtuali.
Un paese di estremi contrasti che possono stimolare l’immaginazione verso un futuro più comunitario e sostenibile.
Dal punto di vista professionale poi l’economia di alcuni paesi come il Kenya o la Tanzania è ormai stabilmente in crescita e al contempo mancano tanti servizi necessari che possono diventare occasione di crescita professionale, soprattutto se mirati alla classe medio-bassa ancora emergente e che è ancora in attesa di soluzioni a basso costo che diano la possibilità di accedere ad alcune delle comodità del mondo moderno.
Nel settore della creatività, che sia musica, arte o design, c’è tanto fermento e la fusione di culture diverse sta portando alla nascita di correnti interessanti che non hanno nulla da invidiare a quelle occidentali ormai forse un po’ stantie.
Gli investimenti vincenti saranno quelli intesi ad esaltare queste nuove energie piuttosto che a contaminarle con il “sapere” occidentale.
Ci potete segnalare altre startup o iniziative nel settore imprenditoriale che ritenete interessanti in Africa?
Ci sarebbe una lista lunghissima, e allora partendo dalla fervente comunità di Kilifi mi viene da pensare alla interessantissima storia di Sanergy, che lavora sull’idea di risolvere la crisi sanitaria negli slum Keniani attraverso lo strumento dell’economia circolare.
O M-Kopa che offre servizi finanziari flessibili e a basso rischio per permettere alla fascia povera del Kenya di accedere a prodotti tecnologici di uso ormai comune.
Green Heart of Kenya è un’altra startup molto interessante che sta cercando di sviluppare qui a Kilifi una piccola città seguendo i principi dell’integrazione e della sostenibilità ambientale.
Impossibile poi non menzionare i marchi di design locali coi quali abbiamo fondato la East African Designers Collective e che comprende nomi come Love Artisan, White Bull e Saba Studio.
Per non parlare delle innumerevoli iniziative lanciate per la gestione dei rifiuti plastici e la loro conversione in nuovi prodotti, come Taka Taka Solutions unica impresa che si occupa di smaltimento e differenziazione dei rifiuti a Nairobi e The FlipFlopi Project che invece parte dal riciclo delle ciabatte di plastica che si ammassano regolarmente sulle coste del continente per diffondere la cultura del recupero.
Insomma, qui in Kenya è un gran fermento di idee che nonostante le difficoltà intrinseche di lavorare in un ambiente ancora poco strutturato, crea un flusso di energie ed entusiasmo che abbiamo trovato in poche altre zone.
Quali consigli dareste a dei giovani talenti per cogliere le opportunità di lavoro o formazione nel continente Africano?
Sicuramente venire con l’attitudine giusta e pronta a confrontarsi in modo positivo con le tante culture diverse che sono la vera ricchezza di questo continente.
Venire anche per un’esperienza lunga che permetta di capire cosa è davvero necessario e cosa può diventare un successo commerciale, evitando le esperienze da ONG che spesso hanno la pretesa di sapere cosa serve alle comunità locali, senza in realtà averle capite fino in fondo.
Poi conoscere sé stessi, per avere ben chiaro cosa non potete permettervi di investire e per definire un minimo di strategia per non andare a tentoni.
Sicuramente capire come funzionano localmente le strategie di partnership o sinergia imprenditoriale, che qui seguono delle logiche spesso completamente differenti dall’Europa.
E infine rispetto, tanto rispetto per le culture locali che cercano di dimenticare la distruzione socioculturale che il mondo occidentale ha causato centinaia di anni fa con l’apertura della tratta degli schiavi.
L’Africa è pronta a camminare con le sue gambe, noi siamo pronti ad assisterla o addirittura seguirla?