Dopo il diploma, 1 maturando su 2 ha paura di diventare un Neet. Circa 1 su 3 non ha ancora un progetto chiaro per il futuro

Il diploma in tasca è l’unica certezza per i “maturati”, l’orizzonte appare invece nebuloso e preoccupante. Gli studenti lamentano limitate attività di orientamento durante il percorso scolastico: 1 su 3 ha iniziato a svolgerle solo nell’ultimo anno delle superiori, mentre una quota analoga non ne ha mai usufruito. Inoltre, a occuparsene sono quasi sempre i docenti o i rappresentanti delle università, che parlano soprattutto dell’offerta accademica e dei corsi di laurea. Nel dimenticatoio possibili valide alternative, come gli ITS e IFTS

Gli studenti, al termine delle scuole superiori, lasciano i banchi con il diploma in tasca. Ma, la maggior parte di loro, anche con la paura di rientrare presto o tardi nella schiera dei cosiddetti Neet, quei giovani che non studiano e non lavorano. A evidenziarlo è un’indagine condotta da Skuola.net in collaborazione con Gi Group – prima agenzia per il lavoro a capitale italiano – su un campione di 2.500 ragazze e ragazzi delle scuole secondarie superiori, tra cui 800 maturandi. Alla fine del proprio ciclo scolastico, infatti, oltre 1 su 2 ha manifestato il timore di non trovare lavoro in tempi ragionevoli, né nell’immediato né dopo gli eventuali studi successivi al diploma.  

Una preoccupazione che colpisce più le ragazze che i ragazzi. Diffusa in percentuali simili anche tra gli studenti dei primi anni della scuola secondaria superiore. Come dar loro torto? Secondo le ultime statistiche ufficiali, in Italia, nella fascia d’età 15-34 anni, i Neet sono circa 3 milioni, oltre 1 su 4. Con una grossa differenza: per chi rimarrà tra i banchi si può ancora intervenire, mentre sui maturandi ci sono pochi margini di manovra, visto che il tempo delle scelte importanti è alle porte. 

Una condizione, quella dei neo-diplomati, aggravata dal fatto che, al termine della scuola, 1 su 3 ammette di avere le idee poco o per niente chiare su quale percorso intraprendere nell’immediato futuro. Forse perché anche chi dovrebbe guidarli, la scuola, non si distingue per pianificazione ed efficacia. Ben 3 diplomandi su 10, ad esempio, sostengono di non aver svolto alcuna attività di orientamento nell’intero quinquennio degli studi superiori. E per una quota simile (29%) l’orientamento è arrivato last minute durante l’ultimo anno di scuola. Un ulteriore 27% ha iniziato a essere instradato sul “dopo” dal quarto superiore. Alla fine, solamente poco più di 1 su 10 ha avuto l’opportunità di essere informato nel corso dell’intero triennio conclusivo.

Fortunatamente, però, molti maturandi non sono rimasti con le mani in mano e nel corso del tempo si sono informati e orientati anche in autonomia: solo il 14% degli intervistati si è dichiarato completamente disinteressato. Tutti gli altri si sono attivati: chi confrontandosi con adulti di riferimento o con coetanei (le opzioni che vanno per la maggiore), chi guardando contenuti informativi sui social o sui siti di informazione, chi facendo esperienza “sul campo”, chi infine frequentando il circuito dei saloni dell’orientamento e delle agenzie per il lavoro.  

Perché le attività di orientamento svolte dalle scuole, anche quando ci sono, non sempre sono efficaci: per il 59% i consigli ricevuti sono stati davvero poco utili, se non del tutto inutili. Una possibile motivazione potrebbe arrivare osservando i “protagonisti” delle sessioni di orientamento. Infatti, 2 studenti su 5 si sono confrontati soprattutto con rappresentanti di atenei ed enti di formazione, circa 1 su 4 quasi esclusivamente con i propri docenti. Solo 1 su 5 ha avuto l’occasione di “lavorare” al fianco di orientatori e formatori professionisti, mentre appena 1 su 10 si è confrontato o con rappresentanti del mondo del lavoro o con esperti di selezione del personale. Proporzioni esattamente contrarie ai desiderata, assolutamente legittimi, degli studenti: il 60% avrebbe voluto incontrare esperti di orientamento e formazione, il 44% rappresentanti del mondo del lavoro e il 40% esperti di risorse umane.

Tutto questo, ovviamente, si riflette anche sui contenuti delle attività di orientamento: quasi sempre gli studenti hanno sentito parlare di università e corsi di laurea. Solamente a una minoranza, invece, sono state presentate anche le alternative all’iscrizione a un ateneo: meno di 3 su 10 hanno avuto un quadro delle opportunità di lavoro per diplomati, circa 1 su 4 ha affrontato il tema concorsi, solo 1 su 5 è stato introdotto al mondo dell’imprenditorialità (come creare startup o avviare attività), idem per quel che concerne l’universo ITS e IFTS (ne ha sentito parlare, rispettivamente, solo il 20% e il 16% degli intervistati).

Proprio quest’ultimo punto merita un focus a parte. Negli ultimi due anni, si è osservato una rinnovata attenzione riguardo gli Istituti Tecnici Superiori – ovvero i percorsi post-diploma a carattere esperienziale, che permettono di conseguire il titolo di studi in due o tre anni al massimo, garantendo elevati tassi di occupazione – confermata anche dalle parole del Presidente Draghi nel suo discorso di insediamento al Governo. Peccato che, complice anche l’inerzia dell’orientamento scolastico, solamente 1 neodiplomato su 4 afferma di averne approfondito l’offerta formativa, mentre il 29% ne ha sentito parlare solo di sfuggita e il 47% li ignora completamente. E solo meno della metà (43%) ne ha conosciuto struttura e finalità grazie alla scuola. Un vero peccato, perché praticamente tutti (95%) coloro che hanno avuto contezza della formula ITS, a prescindere dal fatto che la stiano valutando o meno come opzione per il futuro, la giudicano in maniera positiva. Anche per allontanare lo spauracchio di “diventare” un Neet.


“In Italia, abbiamo un problema legato all’orientamento degli studenti e dei giovani. E questi numeri ne sono l’ennesima conferma. Il passaggio dai banchi di scuola al mondo del lavoro è complesso e i ragazzi e le ragazze necessitano del supporto di esperti. Riteniamo infatti che fenomeni come lo skill mismatch, i Neet e la disoccupazione giovanile si debbano prevenire proprio in questa fase della vita di un futuro lavoratore. Questo anche per sostenere la ripresa del Paese e la fase di evoluzione dovuta alle due transizioni (ecologica e digitale) in corso. I numeri riguardanti gli ITS in Paesi come Germania e Francia, ad esempio, sono emblematici di come la competitività delle aziende passi dalla formazione di giovani talenti”,  commenta Alessandro Nodari, Candidate Management & Employer Branding Senior Director di Gi Group.

Le cose che ci preoccupano sono sempre quelle di cui non ci stiamo occupando efficacemente: se 1 maturando su 2 ha paura di diventare un giovane che non studia e non lavora, vuol dire che le attività di orientamento che la scuola dovrebbe svolgere non sono efficaci. Gli studenti stessi, peraltro, vorrebbero comprendere meglio sé stessi e il mondo del lavoro, invece il più delle volte gli viene proposta la lista dei corsi di laurea disponibili. Il che chiaramente restituisce un approccio parziale a un problema complesso, soprattutto in un contesto lavorativo mai così competitivo e di difficile interpretazione come quello attuale”, così commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.